Il paesaggio del Salento sta morendo. Le distese infinite di ulivi spesso secolari, con le foglie argentee brillanti al sole, sono sempre più sostituite da “cimiteri” a perdita d’occhio, scheletri arborei che urlano il loro dolore nel silenzio delle campagne. Sessanta milioni sono gli Italiani. E sessanta milioni, si calcola, sono anche gli ulivi in Puglia.
Sessanta milioni di italiani e sessanta milioni di ulivi la cui sopravvivenza è minacciata da una malattia: Covid-19 per gli uni, Xylella Fastidiosa per gli altri.
Anche la terminologia è condivisa tra le due patologie: focolai, cluster, zone rosse, distanziamento. Una situazione di per sé tragica prende in questo caso i caratteri del fato avverso, di un sortilegio, di una fattura malefica. Tra distopia e soprannaturale, emerge il lato oscuro di una presenza molto avvertibile in Terra d’Otranto – come anticamente si chiamava il Salento – quella della magia. Tra macare, riti del fuoco, altari ancestrali al dio sole, credenze, culti pagani della fertilità e della madre terra, tarantate, sciamani, e altro ancora e ancora, arriva forte l’impressione di essere molto piccoli e molto impotenti, in balia di forze volubili quanto ingovernabili, a volte oscure, come ora, ma in altri momenti dionisiache e di accecante seduzione.
Forze che, da sempre, tutte le civiltà – e quelle contadine in particolare – hanno cercato di accattivarsi, tra preghiere e riti propiziatori, tra sacro e profano.
Fondamentali testimoni del tempo che se ne vanno in questa epoca buia sono le persone più anziane e gli ulivi secolari, con i quali perdiamo pezzi della memoria collettiva. E cos’è una fotografia se non, anzitutto, memoria?
Foto di © Leonello Bertolucci