Il Festival della Fotografia Etica è da sempre un luogo in cui le immagini trovano il tempo e lo spazio necessari per essere comprese. Non semplici fotografie, ma testimonianze che chiedono di essere guardate senza fretta, senza la superficialità con cui spesso scorrono nella nostra vita quotidiana.
L’immagine simbolo di questa edizione proviene da Gaza, ed è stata scelta perché rappresenta con forza e chiarezza un dolore che non può essere ignorato. È un’immagine dura, che parla di vite spezzate, distruzione, di comunità lacerate. Guardarla significa non voltarsi dall’altra parte, ma assumersi la responsabilità di riconoscere ciò che accade, anche quando il peso della realtà è difficile da sostenere.
Abbiamo voluto dirlo prima a noi stessi, per poi condividerlo con voi e renderlo patrimonio della nostra comunità.
Abbiamo scelto questa fotografia come simbolo del Festival perché nessun altro luogo, se non questo, può accogliere e dare senso a immagini così necessarie. Qui il pubblico incontra i fotografi, partecipa a dialoghi e approfondimenti, trova nei libri e nelle esperienze condivise la possibilità di dare voce a ciò che l’immagine racchiude.
Quando l’abbiamo vista, il senso di necessità è stato immediato: troppo forte per essere ignorato, troppo lucido per essere nascosto.
Non si tratta di una presa di posizione politica, ma di un atto di umanità. Ogni guerra, qualunque essa sia, chiede almeno un rispetto minimo per la vita, e questa fotografia ci riporta, con la sua crudezza a questo tempo in cui il diritto internazionale sembra svuotato e calpestato. Il Festival ribadisce la necessità di non lasciar cadere la memoria e di rinnovare l’impegno verso valori umani.
Il linguaggio visivo ha una potenza che supera confini e culture: interroga chiunque la osservi, senza mediazioni. È un invito a non fuggire dalla responsabilità collettiva, ma a trasformarla in coscienza e partecipazione attiva.
Chi ci segue da tempo sa che non abbiamo mai mostrato immagini grafiche di dolore. Sa come affrontiamo i temi: senza gridare, ma informando a bassa voce, stimolando, lasciando che l’emozione arrivi con forza silenziosa.
Quest’anno, però, è stato inevitabile mostrare il dolore in modo diretto, con le sue ragioni e le sue ferite.
Abbiamo sentito l’urgenza di farlo perché in quest’epoca storica è una scelta necessaria.