UNO SGUARDO SUL MONDOANTONIO FACCILONGO
Habibi - Amore Mio

Habibi è la cronaca di una storia d’amore ambientata in uno dei conflitti contemporanei più lunghi e complicati: la guerra israelo-palestinese.

Questo progetto, le cui immagini sono state realizzate tra il 2015 e il 2019, è un modo per meglio comprendere le conseguenze della crisi palestinese sulle famiglie attraverso la storia delle mogli dei prigionieri che hanno fatto ricorso al contrabbando di sperma per concepire figli attraverso la fecondazione in vitro (FIV), in quanto i loro mariti stanno scontando pene a lungo termine nelle carceri israeliane. Negli ultimi 5 anni sono nati in questo modo più di 80 bambini.

Sono circa settemila i palestinesi classificati come detenuti di sicurezza di cui mille con sentenze di 25 anni e oltre. Israele li tiene prigionieri nelle carceri quando i reati presunti che hanno commesso o le condanne che sono state loro comminate sono considerati minacce, o potenziali minacce, alla sicurezza nazionale.

Le visite delle mogli vengono negate e i prigionieri palestinesi vedono i loro parenti prossimi solo per 45 minuti ogni due settimane, o non li vedono per nulla. Dopo un’accurata perquisizione, i visitatori possono parlare con i loro cari attraverso una finestra di vetro tramite un telefono. Il contatto fisico è vietato, tranne che con i figli dei detenuti, a cui sono concessi 10 minuti alla fine di ogni visita per abbracciare i loro padri. Durante queste brevi visite, alcuni prigionieri hanno consegnato di nascosto ai loro figli del liquido seminale. Con la scusa di dare regali ai loro bambini, i prigionieri mettono lo sperma nel tubicino vuoto delle penne e li nascondono all’interno di barrette di cioccolato. Questo è il modo clandestino con cui lo sperma dei prigionieri riesce a lasciare le celle, ed è l’unica speranza per queste donne di avere una famiglia. Le loro vite sono sospese nell’eterna attesa del ritorno dei loro amati. La fecondazione in vitro serve loro anche per non cedere alla condizione di prigionia dei mariti e affrontare con coraggio le difficoltà della vita quotidiana, dovendo poi però allevare figli da sole in una zona di guerra.

Quest’area del mondo viene troppo spesso mostrata unicamente come luogo di guerra e conflitto, piena di contrasti, soldati, azioni militari e armi. Habibi, che in arabo significa “amore mio”, cerca di mostrare l’impatto del conflitto sulle famiglie palestinesi analizzando le difficoltà che incontrano nel tentativo di preservare la loro dignità umana per spiegare la realtà che si nasconde dietro la guerra.

Antonio Faccilongo è un fotografo documentarista italiano, rappresentato da Getty Reportage, docente di fotografia presso l’Università di Belle Arti di Roma e coordinatore didattico presso il Centro Romano di Fotografia e Cinema.

Dopo essersi laureato in Scienze della comunicazione e aver conseguito un Master in fotogiornalismo, ha concentrato la sua attenzione su Asia e Medio Oriente, principalmente Israele e Palestina, occupandosi di tematiche sociali, politiche e culturali.

I suoi progetti a lungo termine sulle donne e le loro famiglie in Palestina hanno ricevuto numerosi premi e sovvenzioni, tra cui FotoEvidence Book Award con World Press Photo, Getty editorial grant, World Understanding Award al POYi Pictures of the year International, Best color documentary al Gomma Grant ed è stato finalista a Visa D’or feature.

Inoltre, i suoi progetti a lungo termine sono stati esposti a livello internazionale in numerose esposizioni e festival tra cui World Press Photo Festival, Les Rencontres d’Arles, Zoom Festival, PHmuseum online photobook festival ed è stato proiettato al Visa pour l’image di Perpignan e incluso nella campagna globale ideata da Dysturb #WomenMatter contro la violenza sulle donne.

I suoi lavori sono apparsi in alcune delle più importanti pubblicazioni internazionali, tra cui National Geographic, Time, Stern, Der Spiegel, Le Monde, Geo, The Guardian, 6Mois, Paris Match, Focus, Sette, L’Espresso, Internazionale e molti altri.

antoniofaccilongo.com

Lodi, Palazzo Modignani
via XX Settembre, 29

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