Nel 2002 nasce Boko Haram, un’organizzazione islamica creata nel nord della Nigeria con lo scopo di contrastare disuguaglianze, ma che, nel 2009, ha causato un’insurrezione. Sin dall’inizio del conflitto tra Boko Haram ed il governo nigeriano, oltre 2 milioni di persone sono state sfollate e 20.000 uccise. Dal 2014 più di 2000 donne e bambini sono stati rapiti.
Questo lavoro esplora le storie di due gruppi di donne coraggiose, rapite in questo conflitto: le scolare di Chibok e le giovani donne che sono state addestrate e costrette a farsi esplodere.
Dopo essere state rapite dai loro villaggi ed addestrate per compiere degli attentati, Boko Haram legava gli esplosivi addosso a queste giovani donne e le forzava a compiere atti terroristici presso checkpoint e mercati. Dopo essere state mandate in missione, le donne hanno disobbedito ai loro carcerieri, riuscendo a trovare aiuto ed evitando di portare a termine gli attentati. Le donne kamikaze sono viste dai militanti come la principale arma da guerra. Nel 2016 il New York times ha dichiarato che, almeno uno ogni 5 attacchi suicidi compiuti da Boko Haram, venivano portati a termine da un bambino, generalmente una femmina. Il gruppo ha usato 27 bambini in attacchi suicidi nel primo trimestre del 2017, a differenza dello stesso periodo dell’anno precedente, in cui ne erano stati impiegati 9.
Nel 2014, 276 scolare sono state rapite da una scuola a Chibok, scatenando una dura reazione a livello mondiale e la nascita del movimento #BringBackOurGirls. Nel corso dei 4 anni successivi alcune delle ragazze sono riuscite a scappare; altre sono state liberate grazie all’intervento del governo. In seguito sono state trasferite presso un campus universitario dove, al momento, stanno frequentando dei corsi insieme. Le immagini che il mondo ha visto all’inizio di questa vicenda erano quelle di un gruppo di teenagers vestite in abiti scuri e tenute prigioniere. Prendendo intenzionalmente a riferimento l’iconico dipinto intitolato “Tutu” dell’artista nigeriano Ben Enwonwu, l’obiettivo di Ferguson è stato quello di rendere omaggio al linguaggio visivo di questo pittore, instillando, al contempo, un senso di bellezza e dignità nei soggetti.