Master Award 2018 | Paula Bronstein – ITA

Vincitore Master Award 2018Paula Bronstein

<< Un reportage umanitario realizzato nella grande tradizione del miglior fotogiornalismo, dove il racconto mantiene l’equilibrio e il rispetto del dolore di un’intera popolazione.

Coglie l’obiettivo di descrivere un terribile esodo in modo profondo e umano oltre a raggiungere un grande impatto emotivo e documentale. >>

Apolidi, abbandonati e indesiderati: la crisi dei Rohingya

Le minoranze etniche di origine islamica sono sempre state considerate come immigrati illegali provenienti dal Bangladesh, e pertanto veniva loro negato il diritto di cittadinanza. Secondo l’organizzazione Human Rights Watch la legge del 1982 “negava concretamente alla minoranza Rohingya la possibilità di acquisire la nazionalità”. Il governo del Myanmar ha inoltre imposto restrizioni molto severe sulla loro libertà di movimento, sull’accesso all’istruzione pubblica, agli impieghi statali ed alla sanità. I Rohingya affermano la loro appartenenza alle popolazioni indigene del Myanmar occidentale, con un patrimonio culturale di oltre un millennio di storia e influenze arabe, mughal e portoghesi.

Per anni la maggioranza buddista del Myanmar ha lottato per affrontare la questione dell’odio profondamente radicato verso i Rohingya nello stato occidentale del Rakhine.

L’emergenza rifugiati è iniziata alla fine dell’Agosto 2017, dopo un attacco di un gruppo di dissidenti Rohingya contro le forze di sicurezza statali. Lo scontro ha dato il via ad una brutale repressione militare che ha costretto più della metà della popolazione del paese – su un totale di 1,1 milioni di persone- a fuggire verso il vicino Bangladesh, scatenando così il più rapido esodo transfrontaliero mai avvenuto, con oltre 700,000 nuovi arrivi.

Migliaia di bambini che viaggiano soli sono facile preda del traffico di essere umani e dello sfruttamento. Molti rifugiati traumatizzati sono arrivati raccontando storie di orrore relative a violenze, uccisioni e centinaia di villaggi dati alle fiamme, che sono stati ben documentati dai media, così come dalle Nazioni Unite e da diversi gruppi a difesa dei diritti umani. Il governo di Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace, si rifiuta ancora di far fronte alle atrocità, mentre a livello globale le organizzazioni che si battono per i diritti umani e che includono tre donne che hanno ricevuto il Nobel, dichiarano che la donna non può sfuggire alle proprie responsabilità e parlano di un vero e proprio “genocidio”.

Questo fa comprendere ancora più a fondo come le discriminazioni e le persecuzioni contro la comunità dei Rohingya rappresentino un esempio da manuale di pulizia etnica, un crimine evidente contro l’umanità.

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Nel corso della sua carriera Paula Bronstein ha ricevuto molti riconoscimenti ed è stata insignita dei più importanti premi, che sono testimonianza di tutta una vita spesa a realizzare fotografia documentaria in tutto il mondo. Il premio Pulitzer, Pictures of The Year International e The National Press Photographer’s Association, sono solo alcuni dei premi internazionali vinti dalla fotografa. Ha partecipato inoltre a diversi concorsi internazionali di fotografia in qualità di membro della giuria e le sue foto sono state esposte in lungo e in largo.

Il lavoro della Bronstein rispecchia la missione di una corrispondente di guerra che focalizza l’attenzione sulle questioni umanitarie, posando lo sguardo su ciò che nessuno nemmeno oserebbe guardare e cercando di dare voce a chi non ne ha. Paula continua a fotografare presidenti e re, disastri naturali, disordini politici e conflitti, le fasce più povere e vulnerabili su questa terra, dalla Mongolia all’Afghanistan e all’Africa.

E’ l’autrice del libro pluripremiato intitolato “Afghanistan: tra speranza e paura”. Paula ha lavorato per 15 anni come fotografa di staff in diversi quotidiani americani. Si è trasferita a Bangkok 18 anni fa con lo scopo di coprire le regioni asiatiche. E’ stata inoltre fotografa di staff per Getty Images News wire dal 2002 al 2013.

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